Tutti in giorni, dal lunedì al sabato, in diretta dalle ore 10:00 alle 10.30 su Radio Manà Manà -89.100 FM-

martedì 27 marzo 2012

James Cameron e il suo viaggio negli abissi


Un’impresa che ha dell’incredibile, scendere nelle profondità della Terra completamente da soli, un’impresa da Guinness dei primati che assume una dimensione ancora più spettacolare se si pensa che a compierla è stato il famoso regista James Cameron (Terminator, Titanic, Avatar fra i suoi film più famosi). “Non vedo l’ora di condividere tutto con voi”, ha commentato il regista che è sceso con un batiscafo, anzi, “un sottomarino speciale”, dentro la fossa delle Marianne, il punto più profondo nei mari del mondo: “Toccare il fondo non è mai stato così bello”, ha scritto il regista su Twitter appena “riemerso”. Cameron è stato “il primo umano a raggiungere la profondità di 11 km da solo; è giunto sul fondo con la tecnologia necessaria per raccogliere dati scientifici, campioni ed immagini impensabili nel 1960, quando l’unica altra missione con esseri umani, la Challenger Deep, è stata effettuata” scrive il National Geographic che ha sponsorizzato la spedizione. “Prima di riemergere circa a 500 km a sudest di Guam, Cameron ha passato ore aggirandosi sopra il fondale”, raccogliendo durante la missione “campioni e video”, il tutto grazie alla strumentazione del suo “missile verticale” che comprende un raccoglitore di sedimenti, un artiglio robotico, un aspiratore per risucchiare piccole creature marine da studiare in superficie ed indicatori di temperatura, pressione e salinità. Come racconta lui stesso "è stato come andare su un altro pianeta". Sotto il peso della pressione l'intero sommergibile si è ristretto di circa 7 centimetri. Cameron ha trascorso oltre tre ore sul fondo della Fossa delle Marianne. Il regista ha poi commentato: "è un luogo desolato, lunare. Mi sentivo completamente isolato dal resto dell'umanità. Letteralmente è come se nello spazio di un solo giorno fossi andato su un altro pianeta e tornato indietro."


[Il video (in inglese) con il racconto del regista].

lunedì 19 marzo 2012

Padri Docili 2.0


In una puntata di "Music&Medicine" di qualche tempo fa parlammo di uno studio molto particolare che riguardava la diminuzione di Testosterone per i "neo-padri". A tal proposito, vista la giornata, ho ritrovato i miei vecchi appunti su tale ricerca. Fondamentalmente il provvedere ai bisogni del neonato, successivamente al parto della propria donna, porta i livelli di testosterone nell’uomo a scendere in maniera sensibile, parliamo di circa un terzo della quantità normalmente presente in un individuo, e maggiore è l’impegno del neo-padre con il proprio figlio, maggiore è il calo di questo ormone maschile all’interno del corpo dell’uomo. A tentare di spiegarne il funzionamento ci ha provato una ricerca statunitense pubblicata sulla rivista Pnas, Proceedings of The National Academy of Science, che sottolinea come sia la “natura” stessa a regolare il tutto, tenendo alti i livelli di questo ormone prima del parto delle compagne degli uomini  e successivamente abbassarli appena dopo il parto stesso. Un meccanismo che il corpo instaurerebbe, in modo tale da dare al padre la possibilità di prendersi cura del bambino focalizzandosi solo sulla sua sopravvivenza e non sulla riproduzione della specie a livello sessuale. Il campione preso in considerazione ha riguardato 624 giovani delle filippine studiati tra il 2004 ed il 2009. L’analisi comparata ha sottolineato come i papà che spendono molto tempo nella cura dei figli abbiano livelli di testosterone più bassi di percentuali varianti dal 26% al 34%. Gli autori dello studio, dell’Institute for Policy Research at Northwestern all’Università di Chicago sottolineano che questo non significa che livelli di testosterone più basso rendano migliori gli uomini nel ruolo di padre a prescindere. In tutti gli uomini, indipendentemente dai propri livelli ormonali iniziali, alla nascita del figlio si scatena questo calo.

“I figli sono mandati sulla Terra per dare problemi ai padri… è una legge naturale.” (Era Mio Padre -Dreamworks -2002)

martedì 13 marzo 2012

Space the "penultimate" frontier



“Spazio ultima frontiera” questo l’incipit della gloriosa serie fantascientifica “Star Trek” che narrava le avventure del Capitano Kirk e del suo multietnico equipaggio. Purtroppo gli straordinari viaggi spaziali tanto ben raccontati dal genio di G. Roddenberry potrebbero rimanere un'utopia fantascientifica alla luce degli ultimi dati medici emersi in uno studio sui rischi per la salute degli astronauti durante la loro permanenza nello spazio. La risonanza magnetica infatti, condotta su 27 astronauti che avevano trascorso lunghi periodi nello spazio, ha rivelato anomalie ottiche e cerebrali simili a quelle che possono verificarsi nell’ipertensione intracranica idiopatica, una condizione potenzialmente grave che crea una pressione all’interno del cranio. Lo rivela l’analisi restrospettiva dei dati pubblicata online su ‘Radiology’ dai ricercatori dell’Università di Houston (Usa). Il team ha effettuato gli esami e analizzato i dati relativi ai 27 astronauti esposti a microgravità o assenza di gravità per una media di 108 giorni, nel corso di missioni sullo Space Shuttle o sulla Stazione spaziale internazionale, un centro di ricerca in orbita intorno alla Terra dal 1998. Otto dei 27 astronauti sono stati sottoposti a una seconda risonanza magnetica dopo un’altra missione nello spazio, durata in media 39 giorni. «I risultati hanno rivelato varie combinazioni di anomalie dopo l’esposizione cumulativa alla microgravità, osservate anche con l’ipertensione intracranica idiopatica», spiega Larry Kramer. «Questi cambiamenti potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere meglio i meccanismi responsabili dell’ipertensione intracranica nei pazienti che non viaggiano nello spazio». In particolare, tra gli astronauti con più di 30 giorni di esposizione cumulativa alla microgravità, si sono registrati: l’espansione del fluido cerebrale spinale intorno al nervo ottico (nel 33% del campione), l’appiattimento della parte posteriore del bulbo oculare (22% del campione), il rigonfiamento del nervo ottico (15%) e cambiamenti nella ghiandola pituitaria (11%). La perdita minerale ossea e muscolare, dunque, sono solo alcuni degli effetti noti della vita a gravità zero. Gli effetti rivelati dalla ricerca «rappresentano un fattore di rischio ipotetico e una potenziale limitazione ai viaggi di lunga durata» fra le stelle, aggiunge Kramer. Anche William J. Tarver, direttore della clinica medica della Nasa al Johnson Space Center, ha spiegato che l’agenzia ha notato cambiamenti nella visione di alcuni astronauti della stazione spaziale internazionale, la cui origine non è ancora stata pienamente compresa. «La Nasa ha posto questo problema in cima alla lista dei rischi umani, ha avviato un programma completo per lo studio dei meccanismi e delle implicazioni» di questi effetti, «e continuerà a monitorare attentamente la situazione», ha assicurato Tarver.

lunedì 5 marzo 2012

Organi Artificiali


Nel racconto fantascientifico “L’Uomo Bicentenario” di Isaac Asimov il robot protagonista, che desidera fortemente assomigliare il più possibile ad un uomo in una sorta di “Pinocchio” del futuro, riesce ad inventare degli organi artificiali capaci di sostituire egregiamente quelli naturali non più funzionanti. Ma come spesso accade la fantasia anticipa la realtà. Recentemente infatti, dopo la vescica prodotta in laboratorio qualche tempo fa, sono stati creati altri 30 fra organi completi o parziali che nel giro di qualche anno saranno pronti per essere impiantati sull’uomo. Li sta studiando Anthony Atala, pioniere della medicina rigenerativa, che ha esposto il suo lavoro alla conferenza sulle staminali adulte tenutasi in Vaticano, Promossa dal Pontificio Consiglio per la Cultura. “Attualmente stiamo lavorando su 30 diverse linee – ha spiegato l’esperto – oltre alla vescica abbiamo ricreato e impiantato sull’uomo uretra, cartilagine, pelle, vasi sanguigni e altri organi di cui non posso parlare perchè i risultati non sono ancora stati pubblicati. Di sicuro nei prossimi anni ce ne saranno altri, anche se la strada verso organi complessi come cuore o fegato è ancora lunga, mentre è più vicina la produzione di parti, come valvole cardiache o isole che riproducono alcune funzioni del fegato”.  Chissà cosa direbbe oggi Asimov alla luce di queste innovazioni. Possiamo provare ad immaginarlo citando il robot umanoide Andrew che chiude il racconto dicendo: “Come robot avrei potuto vivere per sempre, ma dico a tutti voi oggi, che preferisco morire come uomo, che vivere per tutta l’eternità come macchina.”
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...