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mercoledì 28 novembre 2012

Gli arbitri non servono



Prendete quindici giocatori professionisti di pallacanestro e metteteli insieme ad altrettanti spettatori non esperti davanti a uno schermo dove scorrono le immagini di una partita. Obiettivo: individuare i comportamenti scorretti che vengono commessi in campo. Ebbene, il risultato è che gli atleti professionisti, che hanno interiorizzato le regole del basket, potrebbero tranquillamente fare a meno di avere un arbitro durante le loro partite, poiché il loro cervello è in grado di riconoscere in maniera automatica regole e scorrettezze. Tutto merito dei neuroni specchio. Come dimostra una ricerca di un team interdisciplinare del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) che ne ha individuato, per la prima volta, il coinvolgimento anche nella rappresentazione a livello cerebrale delle norme che regolano le azioni complesse trasmesse culturalmente o apprese per imitazione e mediante l'esercizio fisico (come il balletto, la scherma, il calcio, o il suonare uno strumento musicale).

Lo studio ('Who needs a referee? How incorrect basketball actions are automatically detected by basketball players’ brain'), è stato appena pubblicato su Scientific Reports, un’autorevole rivista di Nature.com. «Mentre è nota da tempo l'esistenza di un sistema di neuroni specchio che rappresentano e rispecchiano le azioni intenzionali istintuali (come ad esempio raccogliere,  afferrare o raggiungere un oggetto) – spiega la professoressa Alice Mado Proverbio, docente di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica presso l’ateneo milanese – è tuttora poco noto come il cervello si rappresenti le norme che regolano le azioni complesse come gli sport o le abilità motorie che si apprendono dopo un lungo training, per imitazione, con lo studio e l'esercizio». La ricerca si è svolta presso il laboratorio di elettrofisiologia cognitiva dell’Università di Milano-Bicocca, ha coinvolto sia giocatori di basket professionisti di serie C sia spettatori inesperti, e ha utilizzato due tecniche di ricerca: la registrazione dell’attività bioelettrica cerebrale (ERPs) e la tecnica di neuroimmagine swLORETA (tomografia elettromagnetica a bassa risoluzione).
Nella fase preparatoria, 10 giudici di gara di serie C hanno selezionato 100 immagini con comportamenti corretti e 100 con comportamenti scorretti (si vedano in figura 1 alcune immagini di comportamenti corretti e scorretti). Queste immagini sono state poi mostrate sia a un gruppo di atleti professionisti che a uno di spettatori inesperti, inframmezzate con immagini di un campo da basket vuoto: a tutti è stato chiesto di premere un tasto alla vista del campo vuoto, in modo che fossero concentrati su un aspetto che prescindesse dalle competenze sportive. Durante il test, in coincidenza della vista del comportamento scorretto, è stata registrata un’attivazione cerebrale differente nel cervello dei giocatori professionisti, completamente autonoma e indipendente dall’attività in corso, focalizzata sull’immagine del campo vuoto: le risposte cerebrali hanno rivelato come i giocatori riconoscessero automaticamente la presenza di una scorrettezza in campo in 4 decimi di secondo, mentre i telespettatori continuavano a rimanerne del tutto ignari (si veda la figura 2 con le diverse attivazioni cerebrali).
È come se i giocatori professionisti avessero interiorizzato così solidamente le regole motorie su quali siano i gesti corretti e le azioni scorrette che queste si attivano in maniera autonoma e indipendente dalla volontà dell’individuo. «Grazie alla tecnica di neuro-immagine swLORETA abbiamo identificato quali popolazioni di neuroni specchio visuo-motori rappresentano le norme che regolano le azioni complesse (in questo caso le regole del basket) da un punto di vista motorio. La regione visiva extra-striata specializzata nel riconoscimento del corpo umano e il solco temporale superiore (che codifica i suoi movimenti e le intenzioni dei giocatori) sembrano rivestire un ruolo fondamentale nell’apprendimento delle regole sportive basate su input visivo» conclude Alice Mado Proverbio. Secondo Alberto Zani, ricercatore dell'Ibfm-Cnr «questi risultati rivelerebbero l'importanza dell'apprendimento visivo negli sport. L'osservazione diretta del "gesto motorio" appropriato, infatti, rappresenta il modo più efficace di apprendimento per l'atleta, rispetto alla descrizione verbale indiretta di quale dovrebbero essere la postura, la tensione muscolare, la tempistica del movimento adeguate». Questo studio rivelerebbe quindi il meccanismo neurale del processo di apprendimento per imitazione. In particolare, spiegherebbe il ruolo dei neuroni specchio nell’apprendimento di un’abilità motoria: vedere un giocatore di basket che gioca, un artigiano mentre lavora, un violinista mentre suona, avrebbe effetti immediati sulla plasticità cerebrale e la memoria, andando a plasmare direttamente le strutture neurali specchio coinvolte nella rappresentazione del movimento, anche in assenza di specifiche istruzioni verbali.

"Chi non accetta il giudizio degli altri limita la possibilità di migliorarsi" -Pierluigi Collina-

mercoledì 21 novembre 2012

Recchioni: “Il Fumetto è un linguaggio, non un prodotto per l’infanzia” (Ristampa Mater Morbi)



In occasione della ristampa dell'albo "Mater Morbi" (da ieri in tutte le edicole) ripropongo un mio articolo redatto, poco più di un anno fa, subito dopo una piacevole diretta radiofonica con Roberto RecchioniE' passato un pò di tempo ma continua a rimanere il mio prodotto preferito "made in Rrobe". Si lo so, qualcuno di voi dirà: "Ma dai, è più facile scrivere di certe cose, suscitare emozioni con l'ausilio della malattia; voi mette i silenzi dei Samurai e le atmosfere magiche del Giappone feudale con i dotti riferimenti letterario/cinematografici".
Sarà tutto vero ma io non sono così raffinato e alla poesia del "ciliegio in fiore" preferisco il "puzzo dell'amuchina" sul pavimento di un ospedale...
Buona lettura


“Il fumetto è una forma di linguaggio; e come tale con esso è possibile comunicare anche su temi importanti. Purtroppo in generale le persone tendono a considerarlo come un prodotto destinato all’infanzia”. Con queste parole inizia un lungo dialogo con uno dei maggiori sceneggiatori di fumetto italiani degli ultimi venti anni; Roberto Recchioni; talentuoso maestro della sceneggiatura che con grande abilità e straordinaria sensibilità ha dato vita ad una delle storie più belle di sempre legate all’ “Old Boy” Dylan Dog. Sto parlando di “Mater Morbi” albo numero 280 della serie regolare del mensile Bonelli fra i più venduti in Italia.
E’ una piacevolissima chiacchierata quella con Recchioni, andata in onda durante la diretta di Music&Medicine venerdì 16 settembre 2011; Roberto con estrema chiarezza traccia il “leitmotiv” che lo ha spinto a realizzare tale albo e sottolinea la catarsi di un opera che va oltre la narrazione stessa; divenendo una sorta di “specchio cartaceo” all’interno del quale ogni malato, passato o presente, è in grado di rivedere se stesso.
Come lo stesso Recchioni sottolinea: “Dylan Dog è un paziente che combatte e tende a non usare la sua malattia come scudo con il resto del mondo” precisa infatti: “Spesso il malato utilizza la sua condizione come una protezione nei confronti del mondo esterno; sono malato e dunque giustificato a prescindere da cosa faccia o non faccia, dica o non dica”. E’ anche per questo che la malattia, Mater Morbi, è una bellissima e sensuale donna che seduce e tortura i suoi malcapitati “amanti”.
“L’aspetto seducente è legato proprio al fatto che la malattia permette agli uomini d’esser giustificati”; ma Mater Morbi è anche un’amante esigente che strappa via salute e stabilità alle sue vittime come una fredda torturatrice. Il lavoro di Recchioni è per questo un prodotto senza tempo; perché, come lui stesso evidenzia, nonostante nuove terapie e innovativi strumenti diagnostici il malato in un ospedale rimane solo, nemmeno l’amore dei propri cari possono colmare quell’enorme distanza che separa i “sani” dai “malati”. “Qualcuno ha detto che nessun uomo è un isola, ma sono ragionevolmente convinto che a dirlo è stata una persona in buona salute” questo il commento che scrive Dylan Dog-Recchioni in un diario durante un suo ricovero; a sottolineare la grande solitudine di un malato. C’è tanto di Roberto Recchioni in questo albo ma è forse per questo che il fumetto riesce a prendere per mano il lettore, anche il più distratto, e lo conduce in un vero viaggio attraverso la patologia; come solo l’opera di un artista può fare.
La conversazione si è poi naturalmente spostata, nel corso della diretta, sulla possibilità didattica del fumetto; commentando il simpatico ma mai banale lavoro di James Kakalios; professore di fisica presso l’università del Minnesota autore del libro “La Fisica dei Supereroi” un testo di fisica teorica dove Kakalios utilizza esempi tratti dal mondo dei fumetti e nello specifico in quello dei supereroi evidenziando come molto spesso concetti oltremodo complessi sono racchiusi proprio dietro le gesta o i poteri di questi “eroi di carta”. Forse il linguaggio della scienza e della conoscenza possono lavorare ancora in sinergia con il mondo, apparentemente così lontano, del fumetto; forse è ancora possibile credere che si possano veicolare informazioni proprio grazie a questa forma d’arte tanto amata. Come direbbe Dylan Dog: “Il fatto che io creda o meno all’autenticità di tali fenomeni è del tutto irrilevante. Ciò che conta è che non mi rifiuto a priori di crederci, come fa la maggior parte della gente “seria”.
Andrea Lupoli
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