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martedì 13 marzo 2012
Space the "penultimate" frontier
“Spazio ultima frontiera” questo l’incipit della gloriosa serie fantascientifica “Star Trek” che narrava le avventure del Capitano Kirk e del suo multietnico equipaggio. Purtroppo gli straordinari viaggi spaziali tanto ben raccontati dal genio di G. Roddenberry potrebbero rimanere un'utopia fantascientifica alla luce degli ultimi dati medici emersi in uno studio sui rischi per la salute degli astronauti durante la loro permanenza nello spazio. La risonanza magnetica infatti, condotta su 27 astronauti che avevano trascorso lunghi periodi nello spazio, ha rivelato anomalie ottiche e cerebrali simili a quelle che possono verificarsi nell’ipertensione intracranica idiopatica, una condizione potenzialmente grave che crea una pressione all’interno del cranio. Lo rivela l’analisi restrospettiva dei dati pubblicata online su ‘Radiology’ dai ricercatori dell’Università di Houston (Usa). Il team ha effettuato gli esami e analizzato i dati relativi ai 27 astronauti esposti a microgravità o assenza di gravità per una media di 108 giorni, nel corso di missioni sullo Space Shuttle o sulla Stazione spaziale internazionale, un centro di ricerca in orbita intorno alla Terra dal 1998. Otto dei 27 astronauti sono stati sottoposti a una seconda risonanza magnetica dopo un’altra missione nello spazio, durata in media 39 giorni. «I risultati hanno rivelato varie combinazioni di anomalie dopo l’esposizione cumulativa alla microgravità, osservate anche con l’ipertensione intracranica idiopatica», spiega Larry Kramer. «Questi cambiamenti potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere meglio i meccanismi responsabili dell’ipertensione intracranica nei pazienti che non viaggiano nello spazio». In particolare, tra gli astronauti con più di 30 giorni di esposizione cumulativa alla microgravità, si sono registrati: l’espansione del fluido cerebrale spinale intorno al nervo ottico (nel 33% del campione), l’appiattimento della parte posteriore del bulbo oculare (22% del campione), il rigonfiamento del nervo ottico (15%) e cambiamenti nella ghiandola pituitaria (11%). La perdita minerale ossea e muscolare, dunque, sono solo alcuni degli effetti noti della vita a gravità zero. Gli effetti rivelati dalla ricerca «rappresentano un fattore di rischio ipotetico e una potenziale limitazione ai viaggi di lunga durata» fra le stelle, aggiunge Kramer. Anche William J. Tarver, direttore della clinica medica della Nasa al Johnson Space Center, ha spiegato che l’agenzia ha notato cambiamenti nella visione di alcuni astronauti della stazione spaziale internazionale, la cui origine non è ancora stata pienamente compresa. «La Nasa ha posto questo problema in cima alla lista dei rischi umani, ha avviato un programma completo per lo studio dei meccanismi e delle implicazioni» di questi effetti, «e continuerà a monitorare attentamente la situazione», ha assicurato Tarver.
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