Tutti in giorni, dal lunedì al sabato, in diretta dalle ore 10:00 alle 10.30 su Radio Manà Manà -89.100 FM-

venerdì 18 novembre 2011

Un giorno qualunque, in un pronto soccorso qualunque



Stanchi nelle nostre autovetture, seduti davanti alla televisione di casa con così tanti pollici da esser costretti ad appenderla sul muro come un quadro del futuro oppure ancora mentre siamo infuriati perché oggi piove e l’ombrello è rotto parlando incessantemente al cellulare di ultima generazione ormai diventato un’appendice di noi stessi. Spesso la vita passa così, presi dal lavoro e dalle tante, inutili, cose che sembrano allontanarci sempre di più da quella vera. Ed è tremendamente triste constatare come mentre si è presi dallo scorrere della propria esistenza ci sia una realtà assai più complessa che vive in quel microcosmo (ormai sempre più macro) chiamato Ospedale. Gli ospedali sono luoghi orribili, dove nessuno vuole di certo andare, più simili alle carceri che a grandi alberghi, dove la nostra libertà è limitata non dalla legge e dal reato ma dalla malattia. Gli ospedali fanno “schifo” e chi ne parla in altri termini è solo un ipocrita oppure qualcuno che non li ha mai visti o peggio capiti. Un luogo di sofferenza e dolore ma anche, come avviene in questi casi, di enorme forza dove quasi tutti, pazienti e parenti, si ritrovano catapultati in una realtà che ci fa riflettere su noi stessi. Chi scrive è reduce da un incidente automobilistico avvenuto poche ore fa in una bella giornata di sole, nel cuore di una delle città più belle del mondo. Chi scrive il mondo dell’ospedale lo ha vissuto tanto e lo ha fatto stando in tre posizioni diverse, indossando un “camice bianco”, come parente e da ieri come paziente. E’ incredibile come queste tre prospettive diverse siano distanti fra loro kilometri e come, pur vivendo la stessa realtà, ogni figura è dannatamente lontana dalle altre. “C’è una distanza infinita che separa i sani dai malati” scrive Roberto Recchioni nel suo “Mater Morbi” ma la stessa distanza, forse anche maggiore, c’è fra i malati e i loro medici. Io sono stato un tirocinante, lo sono stato per così tanto tempo che non ricordo se nella vita sia mai stato qualcos’altro, ho camminato nei lunghi corridoi degli ospedali tante di quelle volte che l’assuefazione ti prende così rapidamente che ti rivolgi al tuo “collega” parlandogli di una cosa, che in un contesto diverso sarebbe orribile, con una grande tranquillità e spesso con cinismo perché il paziente in quel momento “non esiste” è equiparabile ad un pupazzo, non ha anima non ha essenza è l’ennesima tavola del tuo manuale di anatomia illustrato. Forse è giusto così, chi guarda al medico come ad un salvatore, ad un nuovo Cristo sbaglia, è un uomo, fa un lavoro, punto. Tutto questo, e tanto altro, alla lunga può stancare, a me stancò. Tornare in ospedale come “parente del letto numero…” è anche peggio, rivivi quel mondo alla rovescia, hai la grinta del sano ma sei nell’universo dei malati e in un ospedale anche il sano si sente più malato; solo al medico è concessa una certa immunità, come se dietro il loro camice bianco si celasse uno scudo contro la malattia, come se la morte gli concedesse un “pass” per vivere vicino a lei senza essere toccati; almeno finchè si è li. Il tempo in ospedale non passa mai, per nessuno, mai, immobile. Infine tocca a lui, a te, il protagonista indiscusso, il “leitmotiv”di questo variegato universo, il paziente. Il paziente lo è per definizione, attende paziente appunto, attende che qualcuno comprenda quando la sua vita ha iniziato a finire, comprenda perché è li, comprenda quando poterlo farlo uscire. Spesso se la cava facilmente, spesso se la cava con qualche rimaneggiamento chirurgico, spesso se la cava uscendo dall’ospedale in modo diverso, morendo. C’è dignità, infamia, dolcezza, forza, distacco, disgusto, codardia, fermezza dietro ognuna di queste tre figure, le tre popolazioni principali che vivono il mondo ospedale, Medici e paramedici, Parenti, Pazienti. La vita continua e quando quel pianeta lo si abbandona, chiunque tu sia e per qualunque motivo, non vedi l’ora di tornare davanti al tuo Tv 40 pollici, al tuo smartphone alla tua vita.

Andrea Lupoli

6 commenti:

  1. Complimenti e' bellissimo!!! Così reale , toccante e sublime che lo stomaco mi s'è bloccato e gli occhi riempiti di lacrime !!! Bravissimo!!!!

    RispondiElimina
  2. Davanti ad uno che scrive in questa maniera, giù il cappello !!!!!!

    RispondiElimina
  3. Veramente una grande riflessione.

    RispondiElimina
  4. Sad but true... Comunque bella prova

    RispondiElimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...